sezione unite 18287/18 NUOVI CRITERI PER L'ASSEGNO DI DIVORZIO

(Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 18287/18;

depositata l’11 luglio)

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 10 aprile – 11 luglio 2018, n. 18287

Presidente Mammone – Relatore Acierno

Fatti di causa

1. Il matrimonio concordatario tra le parti è stato celebrato nel 1978. La separazione personale consensuale reca la data del 18/4/2007. Le

parti, in questa sede, hanno raggiunto un accordo fondato sul riequilibrio dei loro patrimonio che non prevedeva la corresponsione di alcun

assegno da parte di un coniuge il favore dell'altro.

2. La cessazione degli effetti civili del matrimonio è stata pronunciata con sentenza parziale del Tribunale di Reggio Emilia il 9/3/2012. Con

sentenza definitiva il Tribunale ha posto a carico dell'ex marito la somma di E 4000 mensili a titolo di assegno divorzile in favore della ex

moglie.

3. La Corte d'Appello, in riforma della sentenza impugnata, ha negato il diritto della ex moglie al riconoscimento di un assegno di divorzio

condannandola alla ripetizione delle somme ricevute a tale titolo specifico.

3.1. A sostegno della decisione assunta, la Corte ha applicato l'orientamento espresso nella pronuncia di questa Corte n. 11504 del 2017

secondo il quale il fondamento dell'attribuzione dell'assegno divorzile è la mancanza di autosufficienza economica dell'avente diritto. Nel

merito ha escluso che la parte appellata fosse in tale condizione, in quanto titolare e percettrice di uno stipendio decisamente superiore alla

media nonché di un patrimonio mobiliare ed immobiliare molto cospicuo. Ha, pertanto, precisato che l'attribuzione dell'assegno di divorzio si

era fondata sull'orientamento, superato da quello più recente cui era stata prestata adesione, fondato sul criterio del tenore di vita, peraltro

potenziale, goduto dal richiedente, nel corso dell'unione coniugale, da valutarsi alla stregua delle capacità patrimoniali ed economiche delle

parti. Nella specie pur essendovi un'evidente sperequazione delle predette capacità economiche e patrimoniali in favore dell'ex marito,

l'agiatezza della ex moglie aveva condotto ad escludere la ricorrenza dei requisiti attributivi dell'assegno, dovendosene escludere il difetto di

autosufficienza economica.

4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione Lu. Ch., con richiesta, accolta con provvedimento del 30 ottobre 2017, di

rimessione del ricorso alle Sezioni Unite. Ha resistito con controricorso Om. Co.. La parte ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

5. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 5 L. n. 898 del 1970 e successive modificazioni per le seguenti ragioni:

5.1 il criterio dell'indipendenza od autosufficienza economica non trova alcun riscontro nel testo della norma che detta i criteri per

l'attribuzione e determinazione dell'assegno di divorzio. Inoltre, non risulta chiaro quali siano i parametri al quale ancorarlo tra le diverse

alternative proponibili, ovvero l'indice medio delle retribuzioni degli operai ed impiegati; la pensione sociale; un reddito medio rapportato alla

classe economico sociale di appartenenza dei coniugi e alle possibilità dell'obbligato. Nell'ultima ipotesi, peraltro, il tenore di vita verrebbe

ripreso in considerazione perché i mezzi adeguati non potrebbero che essere rapportati alla condizione sociale ed economica delle parti in

causa e ai loro redditi;

5.2 la lettura logico sistematica dell'art. 5, c.6 L.n. 898 del 1970 e successive modificazioni conduce al ripristino del criterio del tenore di vita,

tenuto conto che il c.9 dell'art. 5, prevede espressamente la possibilità per il Tribunale, in caso di contestazioni, di disporre indagini

sull'effettivo tenore di vita. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 11 del 2015 ha ritenuto del tutto legittimo tale criterio, allora

costantemente seguito dalla giurisprudenza;

5.3 l'applicazione del criterio dell'autosufficienza economica è foriero di gravi ingiustizie sostanziali, in particolare per i matrimoni di lunga

durata ove il coniuge più debole che abbia rinunciato alle proprie aspettative professionali per assolvere agli impegni familiari

improvvisamente deve mutare radicalmente la propria conduzione di vita;

5.4 il richiamo, contenuto nella sentenza n. 11504 del 2017, all'art.337 septies cod. civ. che fissa il criterio dell'indipendenza economica ai

fini del riconoscimento del diritto ad un contributo per il mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti non risulta condivisibile in

quanto le condizioni soggettive rispettivamente dell'ex coniuge e del figlio maggiorenne non autosufficiente non sono comparabili: il figlio

maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi nelle condizioni di essere economicamente indipendente e l'obbligo di

mantenimento è definito temporalmente in funzione del raggiungimento dell'obiettivo; il coniuge, specie se non più giovane, che abbia

rinunciato, per scelta condivisa anche dall'altro, ad essere economicamente indipendente o abbia ridotto le proprie aspettative professionali

per l'impegno familiare si può trovare, in virtù dell'applicazione del criterio dell'indipendenza economica, in una situazione di irreversibile

grave disparità. Infine, l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente perdura fino a quando non sia raggiunto un

livello di indipendenza adeguato al percorso di studi e professionale seguito, mentre all'esito del divorzio per il coniuge che abbia le

caratteristiche soggettive sopra delineate, la condizione deteriore in cui versa non ha alcuna possibilità di essere emendata, essendo fondata

su una sperequazione reddituale e patrimoniale non più colmabile. Tale è la condizione della ricorrente rispetto al livello economicopatrimoniale

molto più elevato dell'ex marito.

5.5 II nuovo orientamento lede il principio della solidarietà post matrimoniale, sottolineato, invece, dal legislatore sia in ordine al diritto alla

pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento di fine rapporto spettanti al titolare dell'assegno. Il criterio adottato porta

ad una lettura sostanzialmente abrogativa dell'art. 5.

6. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 2033 cod. civ. con riferimento alla condanna alla ripetizione di quanto

indebitamente versato. La statuizione della sentenza d'appello non è idonea a configurare un indebito oggettivo perché dispone per

l'avvenire. Inoltre vige, nella specie, il principio dell'irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni assistenziali, del tutto

disatteso nella specie.

7. L'esame della questione rimessa alle Sezioni Unite richiede l'illustrazione preliminare del quadro legislativo interno di riferimento, anche

sotto il profilo diacronico, dal momento che le modifiche medio tempore intervenute hanno notevolmente influenzato gli orientamenti della

giurisprudenza anche di legittimità.

8. IL QUADRO LEGISLATIVO INTERNO

8.1. Il testo originario dell'art. 5, c.6, della L. 1.12.1970 n. 898 e gli orientamenti giurisprudenziali relativi.

Il testo originario dell'art. 5, c.6 della L. n. 898 del 1970 aveva il seguente contenuto:

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle

condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l'obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell'altro

periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto

del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi.

Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in una unica soluzione. L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al

quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze. Il coniuge, al quale non spetti l'assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il

diritto nei confronti dell'ente mutualistico da cui sia assistito l'altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.

La lettura della norma, già nella sua formulazione originaria, poteva dare luogo ad interpretazioni diverse. Valorizzando la distinzione di

significato tra l'espressione "il Tribunale dispone" con la quale si apriva l'elencazione dei criteri di cui si doveva "tenere conto" ai fini del

diritto alla corresponsione dell'assegno di divorzio e l'incipit della seconda parte della norma "nella determinazione di tale assegno il giudice

tiene conto" emergeva, sul piano testuale una distinzione tra criteri attributivi (le condizioni economiche dei coniugi - profilo assistenziale; le

ragioni della decisione - profilo risarcitorio) e determinativi (contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi - profilo

compensativo).

La dottrina prevalente e la giurisprudenza di questa Corte avevano, tuttavia, ritenuto che l'assegno di divorzio, alla luce dell'art. 5, c.6 L.

n.898 del 1970 avesse una natura mista senza alcuna diversificazione e graduazione tra i criteri attributivi e determinativi.

In particolare le Sezioni Unite, poco dopo l'entrata in vigore della norma affermarono che l'assegno previsto dall'art 5 della legge 1 dicembre

1970 n 898, aveva natura composita "in relazione ai criteri che il giudice per legge deve applicare quando è chiamato a pronunciarsi sulla

richiesta di corresponsione: assistenziale in senso lato, con riferimento al criterio che fa leva sulle condizioni economiche dei coniugi;

risarcitoria in senso ampio, con riguardo al criterio che concerne le ragioni della decisione; compensativa, per quanto attiene al criterio del

contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla condizione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Il

giudice, che pur deve applicare tali criteri nei confronti di entrambi i coniugi e nella loro necessaria coesistenza, ha ampio potere

discrezionale, soprattutto in ordine alla quantificazione dell'assegno (S.U. 1194 del 1974; conf. 1633 del 1975).

La coesistenza dei criteri, come espresso efficacemente nella massima, ne evidenziava la equiordinazione e costituiva una prescrizione di

primario rilievo per la valutazione che doveva essere svolta dal giudice di merito al quale veniva riconosciuto un ampio potere discrezionale

nella determinazione nell'ammontare dell'assegno ma non gli era consentito di considerare recessivo, in astratto ed in linea generale, un

criterio rispetto ad un altro, salvo che il rilievo concreto di alcuno di essi non fosse marginale od insussistente. Nella giurisprudenza

immediatamente successiva, la formulazione generale del principio venne puntualizzata in relazione a ciascun parametro. In particolare la

Corte escluse che l'assegno potesse avere carattere alimentare proprio in relazione allo scioglimento definitivo del vincolo di parentela, dal

momento che tale tipologia di obbligazioni postulava la permanenza del vincolo stesso e non la sua cessazione (Cass. 256 del 1975). Venne

sottolineato come il fulcro dell'accertamento da svolgere, in questa prima fase storica di applicazione dell'art. 5, c.6 della L. n. 898 del 1970,

dovesse incentrarsi sulla natura e misura dell'indebolimento della complessiva sfera economico-patrimoniale del coniuge richiedente

l'assegno in relazione a tutti i fattori che possano concorrere a determinare questa sperequazione, quali l'età, la salute, l'esclusivo

svolgimento di attività domestiche all'interno del nucleo familiare, il contributo fornito al consolidamento del patrimonio familiare e dell'altro

coniuge etc. (Cass. 835 del 1975). Gli orientamenti furono certamente influenzati dal contesto socio economico nel quale la legge n. 898 del

1970 si è innestata, in quanto caratterizzato da un modello coniugale formato su ruoli endofamiliari distinti ed eziologicamente condizionanti

la posizione economico patrimoniale di ciascuno dei coniugi dopo lo scioglimento dell'unione matrimoniale. Il rilievo paritario attribuito a tutti

i parametri venne condizionato dalla vis espansiva del principio di parità ed uguaglianza tra i coniugi così come innovativamente consacrato e

reso effettivo dalla riforma del diritto di famiglia. Il criterio assistenziale, in particolare, assume, già in questa prima fase di applicazione

dell'art. 5, c.6 della L. n. 898 del 1970, una funzione perequativa della condizione di "squilibrio ingiusto" (Cass. 660 del 1977) che può

determinarsi in relazione alla situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, a causa dello scioglimento del vincolo, in particolare

quando la disparità di condizioni si giustifica in funzione di scelte endofamiliari comuni che hanno prodotto una netta diversificazione di ruoli

tra i due coniugi così da escludere o da ridurre considerevolmente l'impegno verso la costruzione di un livello reddituale individuale autonomo

adeguato a quello familiare.

Risultava evidente, pertanto, già negli orientamenti degli anni 70 che il profilo strettamente assistenziale si contaminava con quello

compensativo, soprattutto in relazione alla durata del matrimonio, così da dar luogo all'inizio degli anni 80 a principi ancora più decisamente

ispirati all'esigenza di ristabilire "un certo equilibrio nella posizione dei coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio" (Cass. 496 del 1980) da

realizzarsi assumendo il parametro relativo alle condizioni economiche dei coniugi non come criterio esclusivo o prevalente ma come

elemento di giudizio da porsi in relazione con gli altri concorrenti, in considerazione delle complessive condizioni di vita garantite nel corso

dell'unione coniugale e delle aspettative che tali condizioni potevano indurre (Cass. 496 del 1980).

La funzione dell'assegno di divorzio si caratterizza, sempre più, negli anni 80, sotto il vigore del testo originario dell'art. 5, c.6 della L. n. 898

del 1970 come strumento perequativo della situazione di squilibrio economico patrimoniale che si sia determinata a vantaggio di un ex

coniuge ed in pregiudizio dell'altro. A questo fine i tre criteri contenuti nella norma operano come "presupposti di attribuzione" (Cass. 5714

del 1988) dell'assegno stesso. All'interno di questo orientamento, la funzione dell'assegno si risolve in uno strumento volto ad intervenire su

una situazione di squilibrio "ingiusto" non in senso astratto, ovvero fondato sulla mera comparazione quantitativa delle sfere economicopatrimoniali

o delle capacità reddituali degli ex coniugi ma in concreto, ponendo in luce la correlazione tra la situazione economico

patrimoniale fotografata al momento dello scioglimento del vincolo ed i ruoli svolti dagli ex coniugi all'interno della relazione coniugale. Al

riguardo sempre più frequentemente entrava nella valutazione complessiva e paritaria dei criteri ex art. 5 c. 6 il rilievo dell'apporto personale

al soddisfacimento delle esigenze domestiche di uno solo dei coniugi (Cass. 3390 del 1985) ed, in particolare, l'effetto negativo

sull'acquisizione di esperienze lavorative e professionali che può determinare un impegno versato essenzialmente nell'ambito domestico e

familiare (Cass. 3520 del 1983), tanto da far affermare che, anche in relazione all'età, il giudice del merito avrebbe dovuto accertare se fosse

in concreto possibile per l'ex coniuge richiedente l'assegno essere competitivo sul mercato del lavoro senza dover svolgere attività lavorative

troppo usuranti od inadeguate rispetto al profilo complessivo della persona, (Cass. 3520 del 1983).

Da questi orientamenti emerge l'incidenza del principio costituzionale della parità sostanziale tra i coniugi, così come declinato nell'art. 29

Cost. nella valutazione in concreto dei criteri, ed in particolare di quello assistenziale e compensativo, sempre meno scindibili nel giudizio

complessivo relativo al diritto all'assegno. L'interconnessione tra i due parametri viene precisata dall'affermazione contenuta nella pronuncia

n. 6719 del 1987, secondo la quale la funzione dell'assegno di divorzio non è remunerativa ma compensativa, essendo preordinata

all'obiettivo del "giusto mantenimento" in relazione, non solo all'apporto del coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare, ma

anche alla formazione del patrimonio comune ed in particolare al rafforzamento della sfera economico patrimoniale dell'altro coniuge.

Deve essere sottolineato come l'applicazione equilibrata dei tre criteri, assistenziale, compensativo e risarcitorio, sia stata ritenuta adeguata

alla varietà delle situazioni concrete ed idonea a far emergere l'effettiva situazione di squilibrio (od equilibrio) conseguente alle scelte ed

all'andamento effettivo della vita familiare, tenuto conto delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e delle cause, con

particolare riferimento a quelle maturate in corso di matrimonio, che hanno concorso a determinarle.

I principi giurisprudenziali illustrati, tuttavia, furono sottoposti a revisione critica dalla dottrina, in particolare per l'eccessiva discrezionalità

rimessa ai giudici di merito che l'equiordinazione dei criteri aveva determinato. Si lamentava l'assenza di un fondamento unitario e coerente

nella composizione mista dei parametri di attribuzione e determinazione dell'assegno di divorzio. Si sottolineava come l'an ed il quantum

dell'assegno fossero stati tendenzialmente stabiliti del tutto discrezionalmente e l'applicazione dei criteri, proprio in quanto composita, fosse

stata utilizzata per giustificare ex post la decisione, invece che dettarne le coordinate. Inoltre, vennero poste in luce le profonde mutazioni

nella società civile, l'affermazione del principio di autoresponsabilità ed autodeterminazione, da ritenere determinanti anche nelle scelte

relazionali, oltre che l'evoluzione del ruolo femminile all'interno della famiglia e nella società. Si gettavano le basi, pur sottolineandosi la

funzione complessivamente perequativa dell'assegno di divorzio, per la riforma della norma.

8.2. L'intervento della L. 6.3.1987 e la modifica dell'art. 5 c.6 della L. n. 898 del 1970; l'interpretazione del nuovo testo nella giurisprudenza

di legittimità.

In questo rinnovato contesto, è stato modificato l'art. 5 comma 6 dall'art. 10 della L. n. 74 del 1987, nel modo che segue: "Con la sentenza

che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle

ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di

ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone

l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o

comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno,

almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata

decisione. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non

può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.

I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni

documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui

redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria)). L'obbligo di corresponsione

dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

Il coniuge, al quale non spetti l'assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell'ente mutualistico da cui sia

assistito l'altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.

Il confronto testuale con la formulazione originaria della norma pone immediatamente in luce alcune differen